Come detto in precedenza, esistono diversi tipi di respiratori sulle quali caratteristiche non mi dilungherò. È stato chiaro fin dagli albori della SARS-Ebola o altri tremendi virus a contagio respiratorio, che tanto più è elevata la protezione, tanto maggiore è l’efficacia del metodo.
Inutile spiegare quanto le maschere più “ingombranti” ed efficaci siano anche fastidiose da indossare per tutto il giorno, soprattutto mentre si lavora.
I respiratori di tipo “monouso”, che sono quelli che ci interessano, se usati correttamente possono essere sufficienti per far parte di un sistema di protezione individuale globale, affiancato ad altri accorgimenti quali distanza sociale, pulizia e disinfezione delle superfici e isolamento dei casi infetti o sospetti.
Codifiche nel mondo: KN95 – FPP2 e similari
Gli standard vengono creati da organismi internazionali per creare un riferimento – standard appunto – ed evitare confusione. Famosa l’invenzione del metro o del chilogrammo ed è noto a tutti come queste apparentemente semplici cose abbiano in realtà rivoluzionato il mondo del commercio.
Purtroppo, come spesso accade, i campanilismi prendono il sopravvento e per fare un po’ di confusione nel settore delle maschere e dei respiratori si sono creati almeno tre standard:
Standard americano (NIOSH): è contraddistinto da codici di tipo NXX, dove XX rappresenta il livello di filtraggio percentuale (ad esempio le N95 hanno una capacità filtrante del 95%).
Standard europeo (European Committee for Standardization): presenta codifiche del tipo FFPX (EN standard 149:2001+A1:2009), dove X corrisponde a valori pari ad 1, 2 o 3 che costituiscono una scala di efficacia nel filtraggio (dove 3 è l’indice di filtraggio maggiore); in parallelo sono utilizzate anche codifiche del tipo PX (EN 143), dove anche in questo caso X corrisponde ad un indice nella scala di filtraggio.
Standard cinese (GB 2626:2006): presenta una codifica KNXX sostanzialmente uguale a quella americana.
Un interessante documento di sua maestà 3M è disponibile online 3M PDF per aiutarci a capire un po’ meglio di cosa stiamo parlando.
Ovviamente è nostra cura come importatori verificare tutto ciò con la massima diligenza e attraverso controlli incrociati, per esempio visionando attentamente i certificati ed i report di prova o contattando direttamente i laboratori che hanno eseguito le prove, i quali dovrebbero essere centri internazionali ben identificabili e di primissimo livello.
Vi proponiamo un breve riassunto:
Standard dei respiratori e relativa capacità filtrante (rimozione della percentuale di particelle con diametro maggiore o uguale a 0.3 micron)
FFP1 & P1 Almeno 80%
FFP2 & P2 Almeno 94%
N95 e KN95 Almeno 95%
N99 & FFP3 Almeno 99%
P3 Almeno 99.95%
N100 Almeno 99.97%
Tengo a sottolineare la parola almeno. Infatti, i processi produttivi dei respiratori così come sono classificati garantiscono un livello di filtraggio di ALMENO il tot % di quelle impurità campione di dimensioni pari o maggiori a 0,3 micron. Di conseguenza una FFP2, o P2, avendo garantito il 94 % almeno, potrà forse tranquillamente dare un’efficienza di filtraggio del 95-96-97%.
È sul forse che le FFP3 offrono qualche garanzia in più. E dal nostro personale punto di vista , nell’uso civile sono praticamente identiche.
Idem nell’equivalenza tra FFP2 e KN95 o tra le N99 ed FPP3.
Si tratta di standard che danno garanzie verso il basso, non verso l’alto. A patto che la mascherina venga usata correttamente e il Coronavirus sia filtrabile (argomento che abbiamo trattato in quest’altro articolo).
Un’ultima nota: studiando questa materia, soprattutto attraverso la documentazione della famosissima 3M, ditta serissima che ho voluto prendere come riferimento, ho visto come molti respiratori KN95, o FFP2 che dir si voglia, hanno più strati di tessuto non tessuto, fino a 5, di cui uno carico elettro-staticamente. Come i panni per spolverare per intenderci.
Mi è sorta spontanea la domanda se a questo punto le particelle che vogliamo filtrare siano polari (altrimenti cosa gli fa un tessuto elettrostatico?) e mi sono chiesto se questa carica fosse misurabile. La risposta è SI, sia empiricamente sia a livello di laboratorio. Sempre nell’ottica di smascherare eventuali falsi (guarda come abbiamo controllato l’esistenza di tale carica elettrostatica sulle mascherine in questo video).