Vista la complessità dell’argomento, ci è sembrato opportuno – e da subito – andare alla fonte delle normative e studiarci sopra. Iniziando con la doverosa premessa che non siamo esperti avvocati o giuristi, e nemmeno medici o virologi, ma semplici ingegneri in grado di studiare (questo consentitemelo). Seppur con grande fatica ci siamo confrontati con queste materie a cui non siamo avvezzi, ed abbiamo cercato di capirci qualcosa andando alle fonti: Decreti Legge, Legislativi e normative UE – EN.
Troppi presunti consulenti sul mercato pronti a dirci la loro visione dei fatti (a pagamento) lasciando poi a noi tutta la responsabilità del caso. Cosa che come importatori di grosse quantità di DPI, e società di ingegneria aggiungo, prendiamo molto sul serio, non potendo far altrimenti per legge e per etica.

Inoltre, in questi ultimi mesi, non sono mancati numerosi confronti con “esperti” di sicurezza pronti a dirci la loro, anche sostenendo affermazioni in contrasto con le leggi e con il buon senso. Di seguito dunque un blando riassunto delle principali normative che spero sia utile a molti.

Tutto inizia qui

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32016R0425   

Il padre di tutti i regolamenti in materia di DPI è il regolamento europeo 425/2016 del 9 maggio 2016 richiamato dai vari decreti nazionali che lo hanno, nel tempo, recepito abbastanza integralmente e a cui gli stessi decreti nazionali sotto indicati fanno riferimento.
Nell’estrema difficoltà di lettura per un non giurista, e nei vari rimandi a volte incrociati con altre norme UNI (un po’ più familiari almeno per i tecnici), appare chiaro che l’intento del legislatore è stato quello di differenziare gli operatori economici e gli stessi dispositivi DPI in varie “classi” attribuendo sostanzialmente alla “filiera intera” le responsabilità di tracciamento e di bontà dei DPI stessi per l’uso a cui sono destinati.

Iniziamo col notare che l’importatore – quali siamo – ha lo status giuridico e le responsabilità del produttore che importa da extra UE

https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:1992;475   

Trovate poi nel link sovrastante , il decreto italiano di recepimento di questo regolamento europeo, il famoso D.lgs. 475/1992 che recepisce in pieno il regolamento europeo di cui sopra, chiarisce meglio cosa sono i DPI e come si possono classificare in funzione del tipo di danno da cui proteggono e dalla magnitudo dello stesso.

Pare chiaro ‘intento del legistlatore di voler distinguere le cose semplici che proteggono da danni minori da quelle serie che salvanola vita.

Notate bene subito che l’art 4. comma 6 a di detto decreto, (che può trare in inganno classificando come in III cat ” gli apparecchi di protezione respiratoria filtranti contro gli aerosol solidi, liquidi o contro i gas irritanti, pericolosi, tossici o radiotossicil” non fà riferimento alle nostre semplici mascherine ” antipolvere – ma a oggetti – molto più complesse da gestire a livello di certificazione, da fare tramite ente notificato e sottoporre a sorveglianza annuale) . In ogni caso , per i più duri e puri , facciamo notare che è stato abrogato senza ulteriori note dal D.Lgs. 17 del 19 Febbraio 2019. Sul sito normattiva trovate tutto molto ben legato anche se non di facile lettura.

Per cui è fuori discussione ” legale” che le mascherine respiratorie definite antipolvere da una norma UE come la 475 del 1992 possano essere classificate diversamente che in classe I , per cui è possibile per l’importatore ( non per chiunque , ma per l’importatore ceh ha lo status di produttore per quello ceh importa ) gestire in proprio in autocertificazione la CE e l’immissione in commercio garantendo direttamente la veridicità di quello che immette in commercio.


Entrando nel dettaglio più tecnico e descrittivo . , Il suddetto decreto 475 del 1992 parla di classe I per identificare i dispositivi di progettazione semplice (come le nostre mascherine) destinati, tra le varie opzioni, a proteggerci da pericoli lievi e facili da identificare e, in ogni caso, in grado di causare lesioni di lieve entità. La norma fa alcuni esempi per chiarire cosa può essere inserito nella classe, fra cui condizioni atmosferiche di natura non estrema (N.B. che la norma EN 149 parla esplicitamente di anti-polvere e descrive esplicitamente le nostre mascherine come “destinata a fornire una tenuta adeguata sul viso del portatore contro l’atmosfera ambiente” e nulla di altro più complesso o più pericoloso). La classe III, sempre secondo la norma, è definita invece come classe per dispositivi complessi, destinati a proteggerci da lesioni gravi fino alla morte e rischi non facilmente percepibili dall’utente che le indossa (pone come esempio le tute per le radiazioni). La classe II è per i prodotti che non trovano applicazione in nessuna delle due classi.

Anche da questo punto di vista tecnico , possiamo affermare con certezza che i nostri DPI rientrano in questa prima classe senza ogni dubbi. A mio modesto parare, il legislatore ha fatto cosa giusta, distinguendo semplici oggetti anti polvere da oggetti decisamente più complessi come quelli da rischio biologico o chimico.

Vi sono dunque classi superiori (II e III) riguardanti la classificazione e la gestione di DPI ben più complessi e destinati alla protezione da rischi ben più gravi (come radiazioni, tagli, etc.) ma è chiaro che se la norma tecnica di rifermento (sempre la EN149) parla esplicitamente di protezione dalle polveri ed esegue i test con soluzioni di NaCl (praticamente acqua e sale) direi che , con le nostre mascherine siamo certamente fuori da questi perimetri.

In questo decreto sono inoltre presenti dettagli più chiari sulla certificazione CE dei dispositivi e su come questi vadano “marchiati” e tracciati, non necessariamente sul prodotto ma necessariamente sulle confezioni , consentendo a noi importatori di gestire in autonomia (e con tutta la responsabilità del caso) questi aspetti, conservando in un apposito “fascicolo tecnico” tutte le informazioni sui nostri DPI a disposizione delle autorità.

https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2019-0311&atto.codiceRedazionale=19G00023&atto.articolo.numero=1&atto.articolo.tipoArticolo=0  

Lieve aggiornamento al suddetto decreto del 2009, per chi avesse voglia di leggere.

Capire cosa è un DPI e cosa no

L’acronimo DPI, letteralmente dispositivo per la protezione individuale, indica una cosa molto precisa e normata dal REG UE 425/2016. Se consideriamo un oggetto un DPI, questo dovrà sottostare al suddetto regolamento. Altrimenti chiamiamolo fazzoletto, indumento tecnico o quello che volete, ma non DPI. O commetterete un’illegalità e, forse, penserete di essere protetti quando non lo siete.

Il recente decreto Cura Italia (D.Lg. 18 del 17 Marzo 2020) ha autorizzato in deroga praticamente tutte le aziende interessate a produrre fazzoletti vagamente filtranti.

Ottima cosa in un momento così delicato e di cotanta necessità, ma deve essere chiaro a tutti che trattasi di fazzoletti e andrebbero per legge secondo il mio modesto parere definiti come tali. La legge però li definisce “maschere filtranti ad uso della collettività”, e talvolta vengono anche certificati dal produttore come rispondenti alla norma EN 14683 (che regola i dispositivi per uso chirurgico) magari anceh legittimamente avendo ricevuto apposito via livera dall ISS che valuta i tessuti e non i prodotti – correttametne secondo norma. . Attenzione a quanto dice la norma EN14683: uso o medico corrisponde a materiale mensato per evitare che il medico contamini il paziente – non per proteggere il medico . Non vi è infatti nessuna indicazione sull’efficacia di filtraggio coplessivo del prodotto generato con quel tessuto , come è chiaramente scritto nella norma EN che li regola. Trattasi dunque di fazzoletti. Ben fatti, ergonomici, a volte non profilferanti i batteri e con tessuti filtranti , ma non oltre. Molto meglio di niente, sono d’accordo. Ma un DPI è altra cosa. Pensato per fare altro , e fatto in un’altro modo.

Le norme UNI

Come detto sopra, un DPI normato dalla 425/2016 è un oggetto potenzialmente molto variabile. La norma deve per sua natura generica abbracciare ogni oggetto destinato a proteggere l’uomo da potenziali rischi molto vari, passando per il calore al meteo fino alle radiazioni. Un panorama troppo ampio per essere correttamente regolato a livello tecnico da una sola norma.

Ci accorre in aiuto l’UNI, ente di normazione tecnica italiana con le sue norme estremamente precise che vengono pedissequamente richiamate come “legge” dalle nostre leggi nazionali.
Parlando di filtrazione dell’inspirato, c’è una norma molto precisa, la famosa EN149 a cui tutti i produttori del mondo (le norme sono fortunatamente armonizzate, cioè uguali dappertutto nel mondo ) devono adeguarsi affinché la propria “mascherina” sia considerata filtrante per la polvere con standard FFP1/2/3.

A parte la tecno-burocrazia di cui si compone il ragionamento che andremo a fare in queste poche righe frutto semplicemente dei miei studi ed approfondimenti, tentando per un minuto di non pensare ai decreti emergenziali che si sono susseguiti in questi giorni (aprile 2020) dell’emergenza Covid, cerchiamo di caprici qualcosa di più.

Cosa è una norma UNI e chi la può emettere

Una norma specifica è una raccolta di regole tecniche molto dettagliate che disciplinano, con molto dettaglio, a quali requisiti tecnici debba sottostare un determinato “oggetto” per essere conforme appunto alla norma EN stessa. Queste norme sono praticamente sempre utilizzate dai nostri giuristi (sia europei che nazionali) come base tecnica nelle loro normazioni giuridiche sui prodotti stessi.

Per fare un esempio molto semplice, potremmo dire che per noi “umani” un bicchiere di acqua è una cosa semplice, per una norma EN, il bicchiere d’acqua potrebbe essere così definito:

  • Contenuto volumetrico non inferiore a 150 ml e non superiore a 250;
  • Temperatura compresa fra 9 e 15°c;
  • Composizione chimica pari ad almeno il 99% di H2O;
  • Assenza di nitriti ed impurezze;
  • Test di laboratorio fatti nel modo a-b-c-d;
  • Indicazioni del produttore sul bicchiere con scritto “Acqua” non più piccolo di 13 mm.

Diciamo che una norma EN è una cosa seria e chi la legge deve esser un po’ “avvezzo” con i tecnicismi.

Le norme EN in Italia possono essere emesse solo e soltanto dall’UNI – Ente italiano di Normazione – che è un ente pubblico e rappresenta l’Italia presso le organizzazioni di normazione europea (CEN) e mondiale (ISO).

Potete visitare il sito https://www.uni.com/index.php e scaricare gratuitamente la norma EN149:2009 (normalmente si pagano ma le finalità istituzionali dell’ente hanno consentito una diffusione gratuita di questa norma), vi basterà cercarla e registrarvi.

Cosa dice la EN 149 del 2009

Come accennavo prima, la norma è assai “tecnica” e un po’ difficile da leggere se non si è soliti trattare certe materie ma possiamo tentare di semplificare le cose dicendo che definisce, la EN149 chiaramente alcune cose:

  • Le mascherine respiratorie sono, in generale, oggetti nati per proteggersi dalla polvere. Polvere, e non virus o batteri. Esistono sicuramente tutta una classe di dispositivi destinati alla protezione da rischio biologico, ma sono tutt’altra cosa. Che poi possano bloccare ragionevolmente grossa parte di ciò che di “cattivo” potremmo inspirare di questi tempi è ragionevole, incluso forse l’odiato coronavirus che pare viaggi su goccioline di saliva per loro natura di dimensioni non sub-micrometriche; ne abbiamo discusso nel nostro sito qui https://www.novasis.it/news/quanto-e-grande-il-coronavirus-puo-la-maschera-filtrarlo/
  • La classificazione in FFP1, FFP2 ed FFP3 è relativa ad una “perdita di tenuta totale” verso l’interno (paragrafo 7,9,1 della norma) e NON si riferisce alle SOLE efficienze di filtraggio dei materiali in termini di dimensioni filtrabili come si sente parlare in giro per le chirurgiche EN14683. Tale perdita è poi scomposta in:
  • perdita per la tenuta facciale;
  • perdita per l’eventuale valvola di espirazione;
  • perdita del materiale filtrante.
  • Queste prove sono fatte – sempre secondo la norma – considerando aerosol di cloruro di sodio e, separatamente, con olio di paraffina. Esistono delle prove aggiuntive effettuabili con polvere di dolomite solo ed esclusivamente per definirne l’intasamento, non il funzionamento.
  • Ovviamente, più una mascherina “filtra” o per meglio dire “non permette perdita durante la respirazione” più fa resistenza alla respirazione stessa.
  • Questa norma, di cui presento solo un piccolo estratto focalizzato sulla penetrazione massima dell’aerosol di prova, contiene in realtà molte altre “fondamentali piccolezze” legate alla non irritazione della pelle, all’auto-estinguenza, così come è molto precisa nel normare i metodi di prova che sono effettuati attraverso esperimenti su teste di prova che simulano un indossatore “umano”.
  • Ecco perché non potranno mai esistere mascherine “filtranti” con forme sensibilmente diverse da quelle “a coppa“ con gli elastici che tirano (fastidiosissime, concordo): se non tira non aderisce… e non filtra.

Qui sopra potete trovare un piccolo estratto della norma , consistente nella famosa testa di Sheffield utilizzata negli esperimenti di prova di filtraggio . Ecco perchè un dispositivo EN149 è un DPI. Non si tratta solo del tessuto , ma di quanto filtra veramente una volta indossato.

Last: queste prove vanno necessariamente eseguite da laboratori accreditati (ne esistono in tutto il mondo); sono cose serie se fatte seriamente. I report sono complessi e non di facilissima interpretazione, ma se sono veri danno delle garanzie.

La EN14683 e i dispositivi medico-chirirgici

Qualora ci imbattessimo in una mascherina definita come uso medico chirurgico ci troveremmo di fronte ad una mascherina prodotta con materiali che – per norma ed esperimenti precisissimi – consentono la non-proliferazione batterica ed una ragionevole impermeabilità.
Nessun cenno al filtraggio dell’inspirato. ATTENZIONE, nessun cenno al filtraggio dell’inspirato del prodotto finito. Nessuna testa di sheffield per le prove , ma un cilindro.
Perché? Queste norme sono nate anni ed anni fa quando nessuno sapeva cosa fosse il coronavirus. Nacquero dall’esigenza che il medico potesse non infettare il paziente che operava e che fosse altresì vagamente protetto da schizzi di sangue nelle vie respiratorie.
La norma impone prove di non-proliferazione batterica (il famoso BFE – bacterial filtering index) apponendo un campione del materiale sulla bocca di un contenitore di prova in cui è tenuta in vita una particolare colonia di stafilococchi che non devono proliferare in un certo tempo per più di una certa percentuale.
La norma non fa alcun cenno alla forma che quel dispositivo costruito con quei materiali dovesse presentare ed al filtraggio dell’inspirato. ed infatti lo dimostra la semplice forma “3pieghe” di questi dipositivi. Come possono realmente proteggerci se non ” sigillano” naso e bocca? Non possono è semplice.
È sbagliato pensare che medici o infermieri possano operare in ambienti a rischio Covid con delle mascherine “3 pieghe” seppur classificate come chirurgiche . Hanno bisogno di DPI seri e ben indossati. Oltre a tanta fortuna… Se poi, un DPI FFP2 o FFP3 fosse fatto con questi tessuti, sarebbe altro discorso ma ad oggi non ci risulta che ne esistano. Ma ci stiamo lavorando sopra.